Lei non sa chi sogno io

Ieri ero in Val di Susa, proprio nel luogo della lotta NoTav, per partecipare con altri scrittori a un dibattito sul ruolo delle narrazioni dal basso nella difesa dei territori aggrediti. Forse non c’entra niente con Grazia Deledda, eppure ho la sensazione di sì. È pensabile avere la forza di rifiutare la storia che stanno cercando violentemente di importi, se non ne hai una tua con cui difenderti? Se non hai di te stesso alcun sogno, come puoi pensare che gli incubi altrui non verranno ad abitarti, in forma di Tav o inceneritore, di base militare o trivellazione?

Non è un caso che quasi tutti quelli che nascono in un territorio privo di un’auto narrazione liberante finiscano per pensare: “qui non c’è niente” e “devo andarmene”. Gli immaginari sono materiale politico: ci proteggono se siamo noi a governarli, ma se invece li subiamo il primo interesse esterno può renderci comparse di una trama dove invece avremmo diritto di essere protagonisti. In Val di Susa lo sanno benissimo – infatti organizzano dibattiti in cui le narrazioni vengono trattate come risorse di lotta – ma in Sardegna sospetto che lo abbiamo capito molto meno.

Non è questione di avere scrittori più o meno esplicitamente politicizzati, anzi forse ne servono meno di quanto si pensi. Il romanzo Passavamo sulla terra leggeri del resto in Sardegna ha generato più consapevolezza politica di tutti i saggi di Antoni Simon Mossa, nonostante Atzeni non avesse dichiarato mai simpatie indipendentiste. Forse, più che chi scrive, la questione riguarda chi legge e quanto è capace di riconoscere gli immaginari e rivendicarli come paesaggi interiori, da proteggere dall’abuso esattamente come quelli esteriori. Dare a un territorio una sua storia basta già per farlo esistere nella testa di chi ci abita, per dargli statuto di luogo dell’anima, oltre che del corpo, e per renderlo doppiamente abitato e abitabile. Le narrazioni, se sono liberanti e non intossicanti, presidiano i luoghi e li rivendicano, dando forza a chi ci si riconosce.

La matrice primordiale dell’immaginario sardo è senza dubbio la scrittura di Deledda, eppure non ho mai visto alcun popolo negare tanto decisamente un’eredità simbolica quanto i sardi hanno fatto con la sua. Gli altri scrittori, anche quelli venuti dopo, loro sì che sono voci collettive, anche quando puntano il dito alla ferita: Dessì, Fiori, Satta, Cambosu, Lussu… tutti eroi nazionali, tutti indiscutibilmente padri della patria. Solo Grazia sembra aver parlato ai sordi, vittima – oltre che della misoginia – del fraintendimento ideologico di essere considerata “politicamente agnostica”, come l’ha definita Maria Giacobbe nel ‘74 nel suo pur bellissimo Grazia Deledda, un’introduzione alla Sardegna.

Invece per me, donna e attivista in questo 2017, non c’è proprio niente di politicamente agnostico nei suoi romanzi, a partire dallo stesso Canne al Vento, dove una figlia si ribella al padre e un servo ammazza il suo padrone in un rovesciamento simultaneo di ordine sociale e familiare.

Eppure è in forza di quell’equivoco se assistiamo da 80 anni al paradosso di una Deledda che fonda l’immaginario della Sardegna in tutto il mondo, ma non riesce mai a farsi riconoscere il copyright dai sardi, che ancora oggi si ostinano a chiamare stereotipo ciò che – non esistendo prima di lei – è invece in lei archetipo.

Alla fine che Marcello Fois sia il più deleddiano degli scrittori sardi viventi è vero per molte ragioni, ma la principale è che è uno dei pochi che quell’immaginario lo ha rivendicato consapevolmente; non è un caso se nel testo di Quasi Grazia l’autentica volontà politica di Deledda torna finalmente a essere chiara: raccontare al mondo la Sardegna per mostrare alla Sardegna che è un mondo. Questo processo politico-narrativo vale per noi sardi, ma anche per la Val di Susa e per qualunque altro territorio dove la predazione, nascosta e feroce come un morbo, comincia dalla più innocente delle assenze: quella di una storia.

2 thoughts on “Lei non sa chi sogno io”

  1. Lanark, by Alisdair Gray: “Glasgow is a magnificent city,” said McAlpin. “Why do we hardly ever notice that?” “Because nobody imagines living here,” said Thaw… “Think of Florence, Paris, London, New York. Nobody visiting them for the first time is a stranger because he’s already visited them in paintings, novels, history books and films. But if a city hasn’t been used by an artist, not even the inhabitants live there imaginatively.”

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